Carissima/o,
non pensavo d’arrivare alla mia 84.ma Pasqua
con bambini che lasciano il loro sangue sulle giostrine del piccolo parco davanti casa, feriti a morte dalle schegge delle bombe;
con immigrati chiusi come bestiame in gabbie di ferro, controllati dal Rolex d’una ministra;
con le donne Yazide ancora nelle tende e ancora minacciate di eliminazione dopo la precedente mattanza subita;
con migliaia di persone sudanesi senza acqua, cibo, cure destinate ogni giorno alla morte;
con l’informazione che trasforma in santo il criminale e condanna a morte il giusto…
eppure sotto gli occhi – qui e ora – avviene quanto successo quel Venerdì nero e santo, prima in tribunale e poi sul Golgota.
Sento di avere poca fede della logica della vita, quella che fa capo a Dio.
Quel Venerdì, oltre la morte atroce, non porta salvezza la Domenica dopo? Nel mistero delle notte, nel Cristo non è il Risorto? Egli non corona la Vita Umana?
E non appare agli Apostoli esterrefatti, vivo, con cuore e petto squarciato?
Al dubbioso Tommaso, non chiede di mettere la mano dentro la ferita?
Come mai quella ferita in un corpo risorto? Già, dove mi nascondo, per restar vivo, di fronte alle atrocità germinate come veleno nel pianeta terra?
Sì, il posto più sicuro è entrare in quella ferita, di cui il vero Dio e vero Uomo s’è fatto carico. E la porta in giro da 2000 anni quale rifugio aperto a ogni dolore.
Dolore che trovo in me e in tutti coloro che incontro.
Abbiamo tutti bisogno di questa certezza e speranza.
Dio in Cristo Gesù condivide il dolore fisico, psichico, mentale, morale e spirituale di ogni persona vivente, per rigenerarla davanti a ogni ingiustizia.
Condivido con te e la tua famiglia questa riflessione, perché mostra con quale stato interiore vivo l’attività della Fondazione Progetto Uomo, insieme a tutti i collaboratori.
Arrivano persone che hanno in corpo e nel cuore situazioni sempre più rovinose, a rischio di vita. Persone ferite e sole, ripiegate su sé stesse.
Il pensiero della “ferita al costato di Cristo” mi è stato sollecitato da uno scrittore ceco (Tomàs Halìk) finito in carcere sotto il regime sovietico. Vivendo le nostre ferite, possiamo tutti ricoverarci dentro quella “caverna di dolore” perché porta con sé la certezza della rigenerazione.
Verifico dal vero questa realtà. Dentro questa crisi che attanaglia tutto e tutti, la verifica è mostrata dall’andamento dei nostri servizi. Riusciamo a offrirli. Creiamo solidarietà e condivisione. Alleviamo i momenti di disperazione e abbandono che ci colgono, dando risposta a qualche bisogno profondo. Tracciamo sentieri di autonomia e libertà.
Riusciamo ad avere un bilancio umano (pure economico) che tiene, permettendo un servizio libero e, proprio perché tale, perfino richiesto.
Ci riusciamo grazie alla tua solidarietà, la tua vicinanza e il tuo aiuto, di cui abbiamo sempre bisogno.
Con un cordiale e caldo abbraccio di primavera.
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BUONA PASQUA nella Ferita di CRISTO GESU’ IL RISORTO.
don Gigetto